“Il mondo sa che esistiamo?”, cartoline dall’inferno siriano

«Siamo davvero vivi? Gli altri sanno che noi esistiamo davvero?”. Una frase che spezza il fiato con il suo carico di dolore e disperazione. Sono parole pronunciate dall’inferno di Ghota, la nuova Aleppo siriana, dove oltre 1.200 persone sono state ferite dai bombardamenti del regime e circa 250 sono morte soli negli ultimi giorni. Sappiamo davvero che esistono mentre ci scagliamo contro le vite di chi è condannato a sopravvivere ogni giorno sotto i ricatti aghiaccianti della paura e della morte, chi vive la propria esistenza scottandola quasi fosse una colpa. Siamo davvero vivi? è la voce di Bereen Hassoun, madre e infermiera nella città di Harasta, nel distretto siriano assediato di Ghouta orientale, ad aprire una ferita su quella guerra lontana di cui non vogliamo sapere niente e di cui però sembriamo sapere tutto: “Una volta ho chiesto ad uno dei miei vicini: ‘siamo davvero vivi? Gli altri sanno che esistiamo davvero, e che siamo vivi in questi scantinati?’». Gli altri, noi, al sicuro nelle nostre comode case pronti a sostituirci a Dio proprio mentre inginocchiati lo preghiamo. “Cosa significa essere madre quando non puoi nemmeno comprare un biscotto per tuo figlio? Come pensate che viva la maternità quando mio figlio mi chiede ogni giorno: ‘Moriremo oggi? Perché ci stanno bombardando’?”. Se questo è un uomo, e cosa noi esattamente siamo?

Parte del racconto di Bereen Hassoun, raccolto da Marcel Shehwaro di Global Voices: «I vetri alle finestre erano stati fracassati dai pesanti bombardamenti. Il freddo era brutale, penetrava nelle ossa, e per quanto provassimo a scaldarci non riuscivamo a farlo. Quel freddo è diventato parte di noi. Anche quando indossavo cinque maglioni e tre paia di pantaloni e mi rintanavo sotto le coperte con mio figlio, sentivo ancora freddo. […] Mio figlio Husam, di 3 anni, continuava a sussurrarmi all’orecchio: ‘Ho freddo, ho freddo’ e il mio cuore si raggelava ancora di più. […] Quando riesci a mangiare tranquillamente, hai come l’impressione che stai rubando. Mangi tranquillamente mentre gli altri dormono. Mangi solo perché non sopporti più la fame. […] Umm Muhammad era la mia vicina di 28 anni. Un giorno in cui i bombardamenti erano particolarmente pesanti, ce ne stavamo tutte sedute nel seminterrato ad abbracciare i nostri figli. Li abbracciavamo e pregavamo, chiedendo al Signore di proteggerci. All’inizio, l’aereo da guerra ha bombardato da qualche parte in lontananza. Ovunque guardassi intorno a me nello scantinato, vedevo madri calmare i loro figli, pregare e piangere. Avevamo tutti paura, eravamo tutti in attesa di una possibile morte. Il primo bombardamento ha colpito l’edificio sopra di noi. Poi la protezione civile, quella che è conosciuta come Caschi Bianchi, è arrivata e ci ha messo in salvo. Non riuscivamo a vedere dov’erano i bambini nella nebbia sollevata dalla polvere.Il mondo sa che esistiamo - collage immagini Siria opera Odissey Ai Weiwei.pngMio figlio mi era stato vicino per tutto il tempo, ma dopo il primo attacco i bombardamenti si erano calmati un pochino, così aveva iniziato a lamentarsi e lamentarsi che voleva andare a giocare con i suoi amici. Per questo quando è arrivata la seconda bomba non sono riuscita a trovarlo da nessuna parte. Ho iniziato a cercarlo tra gli altri bambini come una matta: ‘Hussam, Hussam, Hussam!‘. “Pochi minuti dopo il dottore mi ha chiesto: ‘Puoi prenderti cura di questo bambino? Sua madre è morta’. L’ho guardato e l’ho riconosciuto subito: era il figlio di Umm Mohammad, la mia vicina che era stata con noi nel seminterrato fino a pochi minuti prima. Ci siamo messe a piangere per Umm Muhammad, e perché avevamo paura. Ci chiedevamo se anche noi saremmo andate incontro allo stesso destino e se i nostri figli sarebbero rimasti senza la mamma. Tenevamo occupate gran parte delle nostre serate con l’immaginazione. Nessuno strano tipo d’immaginazione o fantasticheria, cercavamo per lo più d’immaginarci le risposte alle nostre domande: saremo mai riuscite un giorno a rivedere i nostri genitori? E loro, avrebbero mai visto i nostri figli? I nostri figli sarebbero mai stati in grado di giocare di nuovo come tutti gli altri bambini? In futuro, avrebbero mai saputo cosa sono le banane? Una volta ho chiesto ad uno dei miei vicini: ‘siamo davvero vivi? Gli altri sanno che esistiamo davvero, e che siamo vivi in questi scantinati?‘».

*fonte TPI: https://goo.gl/7EBL9u | articolo originale: https://goo.gl/gko8XQ
* in copertina collage realizzato con immagini di reportage di guerra dalla Siria (Gotha, Aleppo) e parti dell’opera Odissey di Ai Weiwei (Palermo)
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