Ballarò, mercato storico della Palermo terra di tutte le terre

Ma quanto è bello il mercato Ballarò? Nel cuore di Palermo, nel quartiere Albergheria, l’antico mercato di Ballarò* si impone maestoso con le cupole delle sue chiese monumentali, i balconi affollati da panni stesi e fili che tagliano tanti piccoli orizzonti, residui di storia stratificati che si colgono ad ogni angolo.  Il quartiere è una finestra sull’integrazione e sulla Palermo terra di tutte le terre. Un mercato che si trasforma di notte e mostra un volto differente. Di giorno, i suoi vicoli sono affrescati dal bailamme tipico dei mercati storici, ancora oggi palcoscenico dell’identità araba, ebraica, spagnola… di cui noi siciliani siamo prodotto (nonostante lo si dimentichi spesso). Identità e radici che ancora oggi si mescolano a leggende popolari e narrazioni esoteriche. I banchi di pesce, verdura e carne dei venditori si inseguono colorati e vocianti nelle vie strette come in un suk arabo. I quarti di carne esposti in bella vista, come in una visione di Rembrandt o Bacon, inquadrano vecchie carnezzerie (macellerie, termine  di origine spagnola), di padre in figlio l’usanza di esporre capretti e conigli privati della pelle, appesi su ganci lucidi sopra il bancone, un memento mori tipico della nostra cultura, ma più certamente eredità della presenza ebraica* di depurare l’animale ucciso dal suo sangue. Poco più avanti una donna seduta in un piccolo banchetto vende la propria merce: “arachidi bollite, fresco e bollite”. Il dialetto si incastra agli accenti africani e bengalesi che oggi popolano questo mercato. Per questo e per molto altro ancora Ballarò è un paesaggio culturale, visivo e sonoro unico. Qui si ritrova l’Isola plurale che di notte alza nuove saracinesche sulla storia.

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“[…] Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto d’isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui tutto è mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante, non finirò di contarle. Vi è la Sicilia verde del carrubbo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava.

Vi è una Sicilia “babba”, cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio…

Tante Sicilie, perché? Perché la Sicilia ha avuto la sorte ritrovarsi a far da cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione. Soffre, la Sicilia, di un eccesso d’identità, né so se sia un bene o sia un male. Certo per chi ci è nato dura poco l’allegria di sentirsi seduto sull’ombelico del mondo, subentra presto la sofferenza di non sapere districare fra mille curve e intrecci di sangue il filo del proprio destino.

Capire la Sicilia significa dunque per un siciliano capire se stesso, assolversi o condannarsi. […]

[…] Non è tutto, vi sono altre Sicilie, non finirò mai di contarle.”

 

Gesualdo Bufalino, da L’isola plurale nella raccolta Cere perse, 1985, Sellerio

*Origine della parola Ballarò
Esistono alcune ipotesi circa l’origine del termine Ballarò: la prima si fa risalire al toponimo arabo Bahlara, riferito a un villaggio presso Monreale, dal quale provenivano i mercanti che lo frequentavano. Secondo un’altra ipotesi, Ballarò deriverebbe da Ap-Vallaraja, titolo dei sovrani della regione indiana del Sind, nella quale si vendevano le pregiatissime e costosissime spezie provenienti dal Deccan (fonte: Treccani).

**La Palermo ebraica che in pochi conoscono:
Prima dell’editto del 1492
la comunità ebraica, presente da ben 15 secoli in Sicilia, era una delle più fiorenti e imponenti; uno su tre era ebreo, esistevano 51 comunità e 35 mila ebrei. Dopo l’editto spagnolo del 1492, una legge razziale ante litteram, molti ebrei furono espulsi dalla città con la requisizione di tutti i beni, altri acconsentirono al pagamento di pesanti tasse e alla conversione a forza al cattolicesimo, divenendo Marrani, costretti a praticare l’ebraismo in segreto.

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